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Il 13 mattina mi sono deciso e, facendo una piacevole sorpresa a mia moglie, siamo partiti dall’altro mare, lo Ionio, e venuti a Pizzo. Al bar in piazza un buon caffè ed una discreta brioche. Decisamente meglio il tartufo del pomeriggio. Ho visto, per quello che è consentito vedere dagli spazi concessi agli spettatori e da una presenza di pubblico credo straordinaria, una rappresentazione coinvolgente e, a tratti, emozionante. Lo sbarco, ammirato dall’alto, costituisce un affresco di straordinaria efficacia, reso ancora più incantevole dalla bellezza dei luoghi e dalla bellissima giornata che questo autunno ha voluto regalare a Pizzo, nonostante l’intruso di turno abbia disturbato la scena con il suo catamarano. Ogni spettatore si sarà potuto immedesimare in quei Pizzitani che in quel lontano 13 ottobre si trovavano a guardare il mare, provando la stessa curiosità e lo stesso stupore. Gli scontri a fuoco non ho avuto la possibilità di vederli. Ho sentito soltanto il rumore degli spari e le voci concitate. Felice la scelta della voce “fuori campo”, sia per la capacità di accompagnare le scene e, sopratutto, per il tono caldo e coinvolgente. Felicissima, inoltre, l’idea della doppia recitazione, in italiano ed in francese, della lettera del Re alla famiglia. Un modo per rendere plastica la vicinanza di chi scrive e di chi legge. Incantevole la recitazione in francese, con quella figura femminile ritta sullo sfondo, presente sulla scena eppure percepita lontana ed impalpabile. Un gentile omaggio alla Principessa Pauline che credo di aver individuato in quella signora in scuro con l’ombrellino bianco? L’attore che ha interpretato Murat, perfetto nel portamento austero, dovrebbe migliorare la dizione nel senso di renderla si stentorea, ma meno aggressiva. Tralascio tutte le altre scene che mi hanno colpito, senza però dimenticare la bravura dei numerosi figuranti.
Comprendo perfettamente l’impegno profuso dagli ideatori ed organizzatori per la riuscita dello spettacolo, perché di spettacolo si tratta, pur nel rispetto del rigore storico dei fatti narrati. La regia dovrebbe comunque sforzarsi di evitare alcuni “tempi morti” che spezzano il filo della rappresentazione, anche se mi rendo conto che non è facile far muovere così tanti attori fra transenne fatte di nastri colorati di plastica in un mare di folla non sempre educata e rispettosa. Ma va bene così. Chi fa può solo migliorarsi. Bravissimi. In ultimo mi permetto un piccolo suggerimento: prima della recitazione della lettera del Re alla famiglia, come colonna sonora che accompagna il tumulto dei sentimenti che stringono il cuore di Gioacchino, non sarebbe opportuno, in quella breve pausa, inondare la piazza con una musica (vedi link in calce) tipo “Mysterious forest” di Chopin? Oltre tutto gli strumenti ad arco e particolarmente i violini rappresentano felicemente l’intimità degli affetti familiari. Buon lavoro. Arrivederci alla prossima.
E ancora complimenti.
18 ottobre 2019
(Antonio Frandina)