PIZZO, IL CASTELLO E LE SUE CHIESE

Difficile pensare a Pizzo, la splendida cittadina arroccata scenograficamente sopra una rupe a picco sul mare, in una posizione incantevole, lungo quel tratto della costa tirrenica che va fino a Tropea, uno dei più belli e affascinanti dell’ intera Calabria, senza ricordare le sue tradizioni marinare e la pesca del tonno, ma soprattutto il castello di Gioacchino Murat, a cui Pizzo ha indissolubilmente legato il proprio nome.
Prima di tutto questo, però, delle tante bellezze nascoste di Pizzo, delle sue strette scalinate chiuse da case addossate le une alle altre, con le scale esterne, che hanno come fondale l’ azzurro intenso del Tirreno, dei meravigliosi panorami che si estendono fino a cogliere lo Stromboli, fermatevi ad ammirare quello che forse è il vero gioiello di questa cittadina: la Chiesetta di Piedigrotta. E’ uno spettacolo unico e fantastico. Se chiedete in giro alle tante persone, che soprattutto d’ estate affollano la bella piazza da dove si intravede il celebre castello o i tavolini dei tanti locali intenti a consumare il rinomato gelato che qui si produce, dove si trova la chiesetta, la vostra domanda sarà accolta da uno sguardo quasi incredulo. Come se fosse naturale conoscere dove sorge questa bizzarra chiesetta, che è situata a meno di un chilometro dal paese, in direzione nord, lungo la statale 522, quella che dall’ uscita dell’ Autostrada Salerno-Reggio Calabria, dopo il bivio dell’ Angitola, conduce a Pizzo costeggiando il mare, anche se le indicazioni per arrivarci in verità non sono molte.
Un piccolo segnale, vicino a uno spiazzo sterrato dove si può posteggiare l’ auto, tra diversi pulmann provenienti in particolare dalla Sicilia, indica la mèta: Chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, che i <<pizzitani>> chiamano La Madonnella. Accanto, una scalinata, in cima alla quale non è difficile trovare un venditore di cesti e oggetti di vimini, che conduce giù sulla spiaggia.
Come, sul mare? Sì, anche se dapprima, scendendo la scalinata, si intravede solo l’ intensa luce del Tirreno e lo sguardo coglie un lungo tratto di costa, disseminata di brutture e di costruzioni disordinate e pretenziose, che abbraccia tutto il golfo di Lamezia, e poi un muro addossato a un costone tufaceo con sopra un modesto campanile e una cadente piccola campana. Il rumore del mare vicinissimo accompagna gli ultimi passi prima di entrare attraverso un semplicissimo portale nella chiesetta: ed è uno spettacolo inatteso quanto sorprendente. Una grotta scavata nella roccia che si estende in tante direzioni, con stalagmiti diventate colonne e scolpite e trasformate in statue. Una serie di arcate e pilastri naturali, dove si intravedono conchiglie e valve di molluschi, separano le diverse cappelle e grotte, che ospitano un presepe, un San Giorgio e un drago, angeli, una Madonna di Pompei, la scena della moltiplicazione dei pani e dei pesci, altre scene bibliche, altri santi, una Bernardette in preghiera, un cervo, altri animali. In fondo, un piccolo altare e l’ immagine della Madonna. Un impatto sorprendente, amplificato dalla tenue luce che penetra dalle piccole finestre della facciata e poi dalle piccole aperture tra la roccia, che rimodella le figure e crea un’ altra aura intorno a questa fantastica rappresentazione sacra, mentre l’ acqua stilla dalle pareti e il fruscio delle onde sembra fare da controcanto alle litanie, suscitando nuove forti emozioni nel visitatore. Sul soffitto e sulla semicupola che sovrasta l’ altare, poi, tracce di affreschi rosi dalla salsedine e dall’ umidità.
Ma come è sorto questo piccolo capolavoro, che accoglie innumerevoli fedeli e turisti, specie il 9 luglio, giorno della ricorrenza della Madonna delle Grazie, quando i <<pizzitani>> rinnovano il loro tributo di fede e d’ amore alla <<Madonnella>>?
La storia ha dell’ incredibile e sembra mutuata da un racconto fantasioso. Si narra che verso il 1665 un veliero napoletano in navigazione in balia del mare tempestoso fu schiantato contro le rocce. In quei momenti drammatici, il capitano espresse voto alla Madonna affinché salvasse la vita dell’ equipaggio. Il vascello si inabissò, ma gli uomini riuscirono a raggiungere la riva, lì dove oggi sorge la chiesa.
Sul bagnasciuga, i marinai ritrovarono il quadro della Madonna che si trovava a bordo della nave. Decisi a mantenere la promessa fatta, scavarono nella roccia una piccola cappella e vi collocarono la sacra immagine. Ci furono altre tempeste e il quadro, portato via dalla furia delle onde che penetravano fin nella grotta, fu sempre rinvenuto nel posto dove il veliero si era schiantato contro gli scogli. Ben presto, quel luogo divenne un punto di incontro per i marinai che con le loro barche incrociavano quel tratto di mare e anche per i <<pizzitani>>, che affezionati alla <<Madonnella>> ampliarono la grotta. Tra la fine dell’ Ottocento e gli inizi del Novecento, due artisti del luogo, Angelo Barone prima e suo figlio Alfonso, poi, scavarono altre grotte e scolpirono le diverse decine di statue raffigurando scene delle Sacre Scritture. I due affrescarono anche i soffitti della piccola navata e della semicupola sopra l’ altare, dando vita a un culto popolare profondamente sentito, che oggi si rinnova tra l’ incanto dei visitatori abbagliati da questo spettacolo singolare reso più affascinante dalla luce cangiante del mare e del cielo di questa costa.
Ma questa <<città a cascata>>, come la definì Maxime Du Camp, racchiude altre testimonianze artistiche che vale la pena di scoprire, pur se i tantissimi illustri visitatori, da Alexandre Dumas a Richard Keppel Craven, da Léon Palustre de Montifuat a Charles Didier, da François Lenormant a Joseph Widmann, hanno quasi compiuto un “pellegrinaggio” per celebrare la storia dello sfortunato re, che dopo essere sbarcato a Pizzo e catturato, fu rinchiuso
nel maniero di origine aragonese, dove fu fucilato il 13 ottobre 1815. Oltre al bel maniero, di recente restaurato, che sovrasta la sottostante marina, e da dove si coglie un incredibile panorama -<<celestiale>> lo ha definito qualcuno-, che si perde all’ orizzonte, con Vulcano quasi a limitare la fuga dell’ occhio, che conviene visitare, anche per vedere la cella in cui fu rinchiuso Murat, un’ altra tappa fondamentale è rappresentata dalla splendida Chiesa di San Giorgio, patrono di Pizzo, dichiarata monumento nazionale, che sorge nei pressi della piazza principale. La chiesa, elevata a Collegiata con bolla di Gregorio XIII nel 1576, presenta una pianta a croce latina, con cappelle laterali intercomunicanti, ed è stata profondamente rimaneggiata in seguito ai terremoti del 1783 e del 1905, che distrussero anche il campanile. Per fortuna si è conservata l’ originaria facciata barocca, del 1632, con lo splendido portale in travertino serrese, arricchito di motivi figurativi e fastigio. I montanti che lo incorniciano, quello a sinistra reca lo stemma dei Sanseverino, signori della città nel secolo XVII e quello a destra San Giorgio a cavallo. Nell’ interno, dove sono seppelliti i resti di Gioacchino Murat, oltre a un Crocifisso ligneo seicentesco, tradizionalmente detto <<Il Padre della Rocca>>, proveniente da Rocca Angitola, paese vicino distrutto dal terremoto del 1614, un San Giovanni Battista, bella statua marmorea di fine Cinquecento attribuita a Pietro Bernini, padre del più noto Gian Lorenzo, una Santa Caterina d?Alessandria, scultura marmorea di ascendenza gaginesca opera di Carlo Canale, e una Madonna col Bambino, altra interessante scultura di derivazione gaginesca. Tra le oltre opere, Il martirio di San Giorgio, grande tela collocata sul soffitto, opera del vibonese Emanuele Paparo (1778-1828), e la La Salvatrice, di Michele Foggia (1832) , regalo di Ferdinando I alla città per ringraziarla della cattura di Murat. La tela simboleggia, in maniera allegorica, l’ aquila borbonica che uccide il serpente murattiano sotto lo sguardo della Madonna, per questo detta la <<Salvatrice>>.

La vicina Chiesa di San Sebastiano, recentemente restaurata, conserva all’ interno diverse statue lignee e un bel coro intagliato. Interessante è anche la Chiesa delle Grazie che divide la stessa facciata con quella del Purgatorio, annessa all’ antico convento dei Pasqualini, che presenta un bel portale in granito di gusto rinascimentale. La chiesa più nota come Chiesa dei Morti, perché nel suo sottosuolo sono state rinvenute delle nicchie in cui erano stati sepolti dei religiosi, sorge sulla salita a destra della piazza, poco oltre la casa natale del patriota e scienziato Antonino Anile.
Dopo aver ammirato il centro storico, le tante viuzze e gli slarghi che si incrociano sul corso, tra antichi palazzotti nobiliari che racchiudono fasti e storie di questa cittadina che conserva un fascino particolare, di vecchio borgo marinaro, abbandonandosi al piacere delle scoperte, come ammoniva agli inizi degli anni Cinquanta la poetessa polacca Kazimiera Alberti, la quale sollecitava il turista moderno a non concedersi solo alle glorie del passato rincorrendo solo l’ ombra del generale francese che aleggia sulla cittadina, come se ne avesse segnato il destino, un’ ultima tappa aspetta il turista: la Chiesa di San Francesco di Paola, con l’ annesso convento dei Minimi, edificati nella seconda metà del cinquecento. L’ imponente complesso sorge alla fine del corso. All’ interno della chiesa, decorata di marmi, con restauri e rimaneggiamenti che ne hanno mutato le linee, si possono ammirare una bella statua lignea raffigurante la Madonna del Buon Consiglio, opera di scultore napoletano del XVI secolo, una Madonna del Rosario, di ignoto pittore ottocentesco, e altre sculture lignee di un certo interesse.

Una visita che consentirà di guardare a questa graziosa cittadina con occhio diverso, lontano da quell’ immagine che in qualche misura ha impedito che la si scoprisse in tutto il suo vero fascino, con i suoi monumenti e le sue opere d’ arte, segno di un’ altra storia che merita di essere conosciuta e valorizzata.