Da “I PIZZITANI” del mese di maggio 2000
LE QUATTRO ANIME
A.D.

“Il Corriere della Sera” del 12 settembre 1905, riportava in prima pagina, fra le altre vicende, questa: “A Pizzo certa Filomena Incarnata, quarantenne, dopo aver con le proprie mani scavato tra le macerie nella sua casetta e aver rinvenuto il cadavere dell’unico suo figlio, lo abbracciò fortemente, non volendolo più lasciare, ed essendo intervenuti alcuni soldati per persuaderla ad abbandonare il cadavere si ribellò, furente, con morsi e calci”. [ Storia della Chiesa e del convento di S. Francesco di Paola in Pizzo, 1996, pag.107. di F. Cortese].
Il terremoto dell’8 Settembre del 1905 prese sette vite a Pizzo. In quella notte di venerdì, per quaranta lunghissimi secondi, la povera gente, svegliata dal boato, dal tremore, fuggiva cercando scampo in strada mentre i muri crollavano. Con tempestività, per i tempi, fu mandato l’11 Settembre il giornalista del Corriere della Sera, Luigi Barzini, che viaggiò, con speciale autorizzazione, sulle stesso treno che portava il re Vittorio Emanuele III, in visita nella Calabria, per accertarsi di persona dei danni e dei bisogni della popolazione. Così scrive l’inviato “…ecco Pizzo. Non sembra molto danneggiato, ma si vedono alcuni tetti crollati, coronamenti di edifici caduti, vetri infranti. Alla finestra delle case disabitate non un abitante, le vie ingombre quà e là di calcinacci, sulla spaggia si comincia la costruzione di baracche di legno”. [come sopra, pag.108].
In questa situazione dolente e drammatica, con la paura di nuove scosse, l’apparente ripresa della vita quotidiana e l’assistenza del reggimento di soldati dell’esercito regio, nasce la storia delle quattro anime. Per anni è stata raccontata ad ogni scadenza settembrina, nel ricordo tragico di quegli avvenimenti. Anzi, il terremoto è diventato patrimonio della storia, mentre la stranezza e il mistero di quello che segue si è perso. Tutto ha inizio sul finire dello stesso mese di settembre, quando ormai la popolazione si è abituata alle tende in piazza e al presidio, dove i soldati, oltre a dormire, raccolgono e distribuiscono nel grande accampamento generi di prima necessità e le medicine per i feriti e gli anziani. Alla Marina si stanno approntando le baracche di legno per gli sfollati, la mattina presto gli stessi militari sfornano il pane e lo consegnano ai pizzitani che ordinatamente, in fila, aspettano il turno. Non si segnalano nervosismi di sorta. Gli stessi ufficiali, data la tragedia, avevano preparato i soldati all’impegno e al rispetto dei cittadini, vedono familiarizzare tranquillamente indigeni e uomini in divisa. Il Sindaco di Pizzo, Assisi, ha ormai relazionato sui danni direttamente con il re e spera in una ricostruzione avviata e conclusa nel giro di pochi mesi. “Questa tendopoli in piazza è ancora il segno della provvisorietà e del bisogno d’aiuto”. Denuncia il primo cittadino ai nobili del luogo che lo seguono giornalmente nei vari rioni del centro storico per vedere e ascoltare. L’ultima domenica di settembre, Assisi si gira e si rigira nel letto. Non trova la posizione, suda, beve, malgrado il primo fresco ottobrino. Si alza, si riveste, rassicura la moglie e si avvia verso la piazza. La scarna illuminazione pubblica accompagna i suoi passi fino ai bagliori delle tende. I soldati di guardia e i tre o quattro giovanotti che ciondolano come sempre di quà e di là, restano meravigliati, data l’ora, sono passate le 23.00, dalla passeggiata del primo cittadino. Tra un colpo di tosse e un cenno, Assisi chiede notizie dell’ufficiale di campo. Il regio ufficiale con pazienza elenca viveri, medicine e le richieste inoltrate a Monteleone (Vibo) per aumentare le derrate alimentari. E’ un colloquio cordiale, un modo per far passare il tempo e ritornare a dormire. Tra una sigaretta e l’altra, la mezzanotte si approssima, almeno così annuncia il “cipollone” dal taschino del sindaco. La stretta di mano vigorosa chiude la visita. Assisi ritorna a casa, dando fuoco all’ultima sigaretta.
In prossimità della chiesa di S. Giorgio, in parte demolita dai militari perchè pericolante, quattro figure dai lunghi pastrani sembrano attendere qualcuno. Tre in piedi, il quarto è seduto su un lastrone di marmo che spunta dal cumulo di macerie, il capo chino. Il povero sindaco, tra il chiarore della luna e il buio della notte, saluta pensando a qualche suo cittadino o addirittura alla ronda dei soldati. La figura seduta si alza e si avvicina ad Assisi e fa segno di accendere. E’ giovane, sembra una faccia conosciuta, restituisce le sigarette al nostro povero amministratore e poi con tono perentorio dice: “Sindaco, la tenda al centro della piazza deve essere levata, domani notte in quel posto ci sarà un appuntamento”. Smette di parlare e alza il braccio destro per fermare le tre figure che silenziosamente avevano “attorniato” l’atterrito malcapitato. Svaniscono nel nulla mentre Assisi corre girandosi frequentemente e la grossa chiave della porta di casa entra nella toppa dopo diversi tentativi. Si siede, la testa tra le mani e brividi lungo tutto il corpo. Cosa accadrà la prossima notte?…

Il prossimo mese II puntata
“Il Centro della Piazza”