CHIESA DI S. ROCCO E S. FRANCESCO (Sec. XVI).
SANTUARIO DIOCESANO SAN FRANCESCO DI PAOLA
ORIGINE DELLA CHIESA DI SAN ROCCO (6 giugno 1579) di Franco Cortese
Nell’anno 1578, Pizzo fu colpita da una funesta epidemia di peste che provocò centonovanta vittime in pochi mesi; un’elevata mortalità se si considera che la popolazione a quell’epoca ammontava ad appena 2200 abitanti.
L’Università (così si chiamavano nel Meridione i comuni) decise di costruire un lazzaretto ove ricoverare i malati e un cimitero per seppellirvi le vittime della peste. Il terreno prescelto si trovava su una vicina collina ed era situato nel punto dove sorsero poi chiesa e convento; il sito era allora posto in un luogo isolato distante alcune centinaia di metri dall’abitato. Ogni iniziativa sanitaria che escogitava la comunità non sortiva alcun effetto tanto che le vittime del contagio aumentavano in modo impressionante, da far temere il totale annientamento dell’inerme popolazione.
Non potendo nulla gli uomini con le loro conoscenze sanitarie, ci si rivolse all’eccelso San Rocco affinché intercedesse divinamente per far cessare l’immane calamità. Ingerenza miracolosa che avvenne realmente poiché all’improvviso, proprio nel momento più drammatico in cui la gente avvilita si era arresa alla fatalità della tragedia, la peste inspiegabilmente si estinse col pieno trionfo della vita che diffuse tra la gente la sua luce, allontanando la falce della morte.
I cittadini scampati al pericolo, nel rispetto alla divina interferenza e dell’impegno votivo assunto nei tristi momenti di sciagura, diedero man forte all’università per raccogliere i fondi occorrenti all’acquisto di un terreno ove erigervi una bella chiesa in onore di San Rocco.
Si scelse, com’era ovvio, il terreno che era servito da sepolcro agli appestati e, per ingrandirlo, si comperarono tutt’intorno altri spazi che comprendevano una vigna di un certo Michele Galiffo di Briatico e in più, dal lato settentrionale della fossa comune di sepoltura, un giardino denominato “delli cordari”. Monsignore Giovanni Maria De Alexandris, vescovo di Mileto, il 6 giugno 1579 concesse la licenza di edificazione e così il popolo di Pizzo poté erigere il sacro luogo proprio sul cimitero delle povere vittime della peste. Si volle consacrare quel camposanto ascrivendolo tutt’intorno con un luogo pio, com’era costumanza del tempo, quando i defunti si inumavano nelle chiese. Fu eretta così la chiesa di San Rocco. Nello stesso anno si comprò una bella statua di legno che effigiava egregiamente San Rocco (statua sistemata oggi nel convento dei Minimi), alla cui base, fino a qualche secolo fa, si leggeva la data, l’autore e il motivo per cui fosse stata realizzata. Ma di questa didascalia, della quale ce ne parlano alcuni storici locali senza peraltro avercela tramandata, oggi non rimane traccia poiché coperta, in occasione di un restauro, da un incauto verniciatore.
Il 25 marzo 1638 e il 5 novembre 1659, due terribili terremoti arrecarono alla chiesa e al convento seri danni che richiederanno tempo e sacrifici per essere riparati. Inizia così il triste rosario di questa calamità naturale che, con una drammatica ed inaspettata frequenza, “convivere”, insalutato ospite, con i Monaci attraverso i secoli condizionandone, spesso drammaticamente, la loro vita monastica e missionaria. Ma, come vedremo più avanti, lo spirito di lotta contro ogni tipo di avversità sarà uno dei propellenti più vivi fra quelli che infiammano il cuore del frate, anzi è sua norma cristiana irraggiare i depressi onde animarli nell’ora della ripresa, quando tutto sembra crollare. Così, come la terra con suo tremolio rovescia le cose, la forza della fede e l’amore per il penitente di Paola riedificano tutto come prima, approntando i Paolotti ad altre difficili prove. E i Monaci, autentici alabardieri in questa eterna lotta contro le naturali avversità, riprendevano alacremente, pur nelle tenaci congiunture, la loro vita contemplativa riaprendo i santi luoghi al culto, alla preghiera, alle opere assistenziali, alla cultura, all’insegnamento. Vicini al popolo infondevano idee e azione. I rintocchi delle campane della chiesa scandivano i tempi d’inizio e termine dei duri lavori nei campi quando il contadino, immiserito dal magro baiocco che gli lesinava il barone, poteva sfogare il suo atavico astio col religioso questuante dividendone la pagnotta giornaliera, sognando un mondo migliore. Anche il pescatore, al di fuori della decima o balzelli vari, riconoscendo la bontà della predicazione dei figli del Paolano, in un mondo di empietà e tracotanza, offriva ai Frati spontaneamente del pescato, sollevandoli così, per quel poco che poteva, dall’inanizione nei giorni di carestia, digiuni che spesso la rigida regola quaresimale dell’Ordine inaspriva più di ogni altra sopportabile privazione. Vola così il sec. XVII in un’altalena dondolante che vede i Minimi impegnati in attività religiose, iniziative culturali e sociali, opere pie e tanta carità legata al popolo, alla terra, al mare, ai drammi come cataclismi, sconvolgimenti tellurici, siccità e carestie: il periodo che verrà, come vedremo, sarà ancora più dificile e avrà dei momenti tragici (*).
Nel 1624 troviamo come correttore provinciale della Calabria Ultra Seconda (Catanzaro e Reggio C.) Padre Giacinto da Pizzo (**) che rimase in carica per tre anni. Nel capitolo generale dei Minimi n. XXXVII, celebrato a Marsiglia, dal 24 maggio al 4 giugno 1635 si fa mensione di un Padre Giacinto di Pizzo Provinciale di Calabria. Probabilmente si tratta sempre dello stesso Frate Giacinto Tranquillo di cui diremo avanti Altro elemento valido che prova la crescita della devozione per S. Francesco e la vitalità spirituale dei monaci del convento di Pizzo ci viene fornita da Ilario Tranquillo, a pag. 85 della sua già citata opera, il quale riporta una breve biografia di tre Monaci dei quali due sono suoi congiunti:”Domenico Tranquillo, dell’Ordine di S. Francesco di Paola, teologo e predicatore, fratello di Gerolamo Tranquillo, mio padre, diede alla luce della stampa il Trionfo di San Francesco di Paola nel 1642 per Giovanbattista Russo, e tre celebri Tomi sopra l’operazioni delle Sante Degnamente, Cecilia ed Anastasia: lasciò manoscritta un’Opera latina de Sacramentis. Fa di lui menzione Niccolo Toppi nella sua biblioteca Neapolitana al foglio 74″. E poi continua nella stessa pagina:”Giacinto Tranquillo, dell’Ordine dei Minimi, fratello di Gerolamo Tranquillo, mio padre, fu gran Teologo, Predicatore, e Provinciale due volte, in questa nostra provincia. Predicò egli in Roma, ma con applauso così grande, che gli Ascoltanti per lo stupore furono forzati a esclamare: «Viva Calabria».
Lasciò egli manoscritto un Tomo di varie materie spirituali. Di lui si fa ricordo nella Cronica de’ Minimi, non per anche(*).
II 23 maggio 1738 un forte sconvolgimento tellurico danneggiò Pizzo facendo crollare molte abitazioni fra cui le celle del Convento di San Francesco di Paola. «I Padri si trovarono nella necessità di contrarre un debito di 200 ducati “specialmente per poter incominciare qualche riparo alii gran fracassi cagionati a detto venerabile monastero per il flagello del tremuoto successo di questa città al dì venti tre maggio prossimo caduto del corrente anno”. La somma fu loro mutuata all’interesse del 6% dall’U. I. Dr. Giorgio Melecrinis». – Antonio Tripodi – Notizie di storia religiosa delle Diocesi di Mileto, Nicotera, Tropea- in Incontri Meridionali impressa, ove si parla degli uomini illustri in bontà, lettere, e governo di questa Provincia di Calabria”.”Giovan Battista Ferrari dell’Ordine dei Minimi, teologo dottissimo, e famoso Astrologo, compose e lasciò manoscritta un ‘opera intitolata Dizionario Astronomico, molto stimato dagli eruditi”. Riportiamo, dallo stesso libro, qualche nota che riguarda i conventi, ricordando che il Tranquillo, pur pubblicando la sua opera nel 1725, già vent’anni prima l’aveva pronta, precisazione che ci serve per inquadrare il periodo storico: “… E aggiungesi che nei palagi di più eruditi signori del Pizzo, vi sono lettere di Filosofia, di legge Canonica e Civile, siccome nei Monisteri, di Filosofia, e di Teologia Scolastica e Morale, e vi si veggono così nei Conventi dei Religiosi, com’anche ne’ Palagi, bellissimi musei e librerie…”.
Infine, al Capitolo Generale dell’Ordine, tenuto a Firenze nel 1764, fra i benefattori dei conventi di S. Francesco, vengono segnalati alla stima mondiale i signori: Giorgio Melecrinio, Ilario Tranquillo e Matteo Pacenza, nobili della città del Pizzo. Tracce brevi, varie e diradate ma sufficientemente probanti dell’esistenza e della continuità del convento nel suo primo secolo di vita.(**) P. Giovanni Fiore – “Della Calabria Illustrata” – 1691, Napoli
La Chiesa fu distrutta dal sisma del 1905 e ricostruita subito dopo. Nel suo interno si può ammirare : Madonna del Buon Consiglio (sec. XVI) e statue lignee di scuola napoletana; tele del 1° Novecento di Grillo, Barone e Papandrea. Vi è annesso il Convento dei Minimi (2a metà sec. XVI).
Il comune decìse di costruire un lazzaretto ove ricoverare i malati e un cimitero per seppellirvi le vittime della peste .
IL LIBRO D’ORO DEI VISITATORI