Visita alla mostra “La Repubblica Napoletana  del ’99. Memoria e Mito”,
di Plinio Caio Gracco
 

 

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“Gli anniversari spingono molti a ricercare e a pubblicare documenti che in altri tempi non sarebbero venuti fuori e a compier lavori critici ai quali non si sarebbe pensato” – Benedetto Croce

cirillo.jpg (7254 byte)Non è la prima volta che l’Archivio di Stato di Napoli, ex convento benedettino destinato dal 1835 alla conservazione dei documenti, ricorda con una mostra qualche importante avvenimento storico. Nel 1911 fu la volta del cinquantenario dell’Unità d’Italia, e l’allora direttore del Grande Archivio, Eugenio Casanova, volle riservare ampio spazio alla rivoluzione del 1799, che è stata  nuovamente ricordata dalla mostra “La Repubblica Napoletana del Novantanove – Memoria e Mito” allestita fino al 30 aprile 2000 nel Chiostro del Platano dell’Archivio di Stato di Napoli, da cui è stata organizzata in collaborazione con la Biblioteca Nazionale di Napoli e la Società Napoletana di Storia Patria. L’esposizione, curata da Marisa Azzinnari, è corredata di un video e un catalogo che propongono la memoria storica, il mito e l’interpretazione critica delle vicende fondamentali per la costituzione della Repubblica Napoletana, alle quali sono state dedicate specifiche sezioni della mostra opportunamente contrassegnate da schede didattiche che aiutano a collegare logicamente i fatti storici presentati. La prima di queste schede è intitolata: “I Borbone di Napoli contro la Rivoluzione”. 

La Rivoluzione Francese del 1789 e le conseguenti guerre coinvolsero Napoli benché le corti europee, compresa quella di Napoli, considerassero i moti rivoluzionari come una minaccia da combattere. Ma la controffensiva preparata da Ferdinando IV di Borbone, allora re di Napoli, non fu molto efficace, per cui le congiure cominciarono presto. Il 16 settembre 1792 il comandante giacobino Lautouche-Tréville entrò con la flotta francese nel porto di Napoli e impartì le prime direttive per la costituzione di una società segreta. Fra i congiurati Eleonora Pimentel Fonseca, che qualche anno dopo dirigerà il “Monitore napoletano”, il cui primo numero, uscito il 2 febbraio 1799, è solo uno dei tanti documenti storici esposti in questa prima sezione, che fanno davvero rivivere le tensioni sociali della rivoluzione. Gli altri, risalenti agli anni 1790, ’93, ’94, ’96, ’97, e ’98, sono trattati di pace, lettere manoscritte, rappresentazioni di battaglie navali, stampe, rapporti militari sui primi moti, un dispaccio del ’94, l’editto di espulsione dei francesi dal Regno pubblicato il 9 settembre ’93, e le matrici dei medaglioni con l’effigie di Ferdinando IV e Maria Carolina di Borbone.

Ero già completamente immerso in quell’atmosfera mista di speranza e disperazione, quando, camminando come attraverso il tempo lungo il portico fresco e silenzioso del chiostro, d’un tratto mi ritrovo davanti a un vescovo, o meglio, davanti a un tipico abito scarlatto da vescovo. Scoprirò che il vestito, come i costumi di borbonici e giacobini esposti nella Sala Catasti, appartiene all’oratorio drammatico “Eleonora” di Roberto De Simone, esempio dello sviluppo del mito della Repubblica napoletana nell’ultima produzione teatrale e iconografica. Qualche passo più avanti noto una scheda didattica che illustra la ritirata di Ferdinando IV e la fuga precipitosa della corte borbonica in Sicilia. Infatti, Ferdinando, sconfitto dall’esercito francese del generale Championnet incaricato da Napoleone Bonaparte di occupare Napoli, fu costretto a rifugiarsi a Palermo. Il 23 dicembre 1798, dopo aver nominato suo Vicario Generale il principe Pignatelli e pubblicato l’editto che esortava i suoi sudditi a cacciare i nemici invasori del Regno, si imbarcò con la regina Carolina e un gruppo di cortigiani sul veliero Vauguard della flotta inglese dell’ammiraglio Nelson.

L’anno cruciale fu il 1799. Il 1° gennaio l’armata francese invase il regno di Napoli. Il giorno 18 dello stesso mese scoppiò una rivoluzione popolare in cui persero la vita i fratelli Filomarino. Tre giorni dopo, i patrioti napoletani, animati dal desiderio di libertà, progresso ed emancipazione che faceva eco alle idee di Gaetano Filangieri, la cui “Scienza della legislazione” fu in quell’anno fra i testi più studiati dalla classe dirigente, si impadronirono di Castel Sant’Elmo, innalzarono la bandiera tricolore e, con la protezione dei francesi, proclamarono la Repubblica Napoletana “una e indivisibile”. Tutto ciò mi si è concretizzato davanti agli occhi mentre osservavo la documentazione (lo stemma, gli emblemi, il calendario, e perfino la costituzione della neo repubblica) e leggevo alcuni titoli dell’emergente giornalismo politico e della stampa periodica di quegli anni.

La Repubblica durò solo cinque mesi perché fu acclamata solo dal ceto borghese, un’esigua minoranza contro le plebi della città e degli abitanti dei centri agricoli  fortemente legati al Re e alla religione e ostili alle truppe francesi. Così, approfittando del malcontento popolare, l’8 febbraio il cardinale Fabrizio Ruffo sbarcò in Calabria agitando la bandiera della “Santa Fede”, formò un’armata di nobili intransigenti, di cortigiani e di gente umile, e puntò su Napoli, dove un’insurrezione generale obbligò le truppe francesi a sloggiare. Nonostante la resistenza dei patrioti, la Repubblica cadde formalmente con le capitolazioni dei castelli napoletani il 21 giugno 1799. Quel mese i “sanfedisti” diedero la caccia ai “collaborazionisti”; tra le vittime più illustri ricordiamo Mario Pagano e Domenico Cirillo, che era stato Presidente della Commissione legislativa della Repubblica. Di lui Ricciardi scrive: “Questo celebre uomo, che tutte le accademie d’Europa si disputarono di possedere nel loro seno, finì indi la sua vita sotto i calci di un infame carnefice”. Il 28 giugno l’ammiraglio Nelson fece impiccare all’albero maestro della sua nave il valoroso ammiraglio napoletano Francesco Caracciolo. Negli ultimi mesi del  1799 e durante quasi tutto l’anno successivo si moltiplicarono i processi, le condanne all’esilio e la confisca dei beni dei giacobini, i monasteri soppressi e le esecuzioni capitali a Piazza Mercato e nei castelli di Napoli. Come mostra un’altra scheda storica, le repressioni proseguirono nelle province del Regno sottoforma di scomuniche e fucilazioni. L’11 settembre 1800 l’uccisione di Luisa Sanfelice pose fine alle esecuzioni. Il ritorno sul trono di Napoli di Ferdinando IV, e quindi il ristabilimento della dinastia borbonica, accolto con entusiasmo dalla maggioranza della popolazione, è attestato da una medaglia del 1799.

Questa mostra, frutto di un attento lavoro di ricerca e di scavo nella documentazione archivistica, proprio perché ha messo in luce materiale documentario sfuggito alla distruzione delle carte della Repubblica, ha  pienamente confermato l’utilità che Benedetto Croce riconosce agli anniversari superandola, in quanto non si è trattato di una semplice esposizione di documenti, ma, grazie a un’efficace supporto critico-didattico, è riuscita a trasmettere la complessità intellettuale di questo importante capitolo della storia di Napoli.

Plinio Caio Gracco