I TONNAROTTI  di D. CURATOLO

Le operazioni preliminari per la campagna di pesca avevano inizio per tempo col disbrigo delle pratiche burocratiche per ottenere le necessarie autorizzazioni dai superiori organi competenti. Seguiva quindi l’ingaggio del personale, occorrente per la formazione delle ciurme dei tonnarotti. Ogni tonnara impiegava circa sessanta persone da destinare nelle operazioni, che venivano svolte a mare, oltre a numerose altre da adibire nei servizi delle «logge» dove, tra l’altro, veniva operata la conservazione del pesce, prima col solo metodo della salagione e in seguito con la bollitura occorrente per la produzione del tonno all’olio. Essendo operanti contemporaneamente diverse tonnare nel golfo di Sant’Eufemia, non sempre si riusciva a soddisfare il fabbi­sogno di manodopera, per cui molto spesso si era costretti a ricorrere a quella dei centri rivieraschi vicini e perfino ad ingaggiare marinai provenienti dalla Sicilia.
La numerosa marineria pizzitana, che oltre a svolgere l’attività peschereccia, era molto impegnata col traffico di piccolo cabotaggio, fiorentissimo a Pizzo prima della costruzione delle ferrovie, riusciva a fornire in media solo duecentocinquanta marinai pescatori, i quali sospendevano i loro abituali sistemi di pesca in proprio per dedicarsi al lavoro delle tonnare nel periodo in cui queste operavano.
Un tempo l’ingaggio dei tonnarotti veniva pattuito sulla parola data, che era sicuro pegno di garanzia; successivamente venivano stipulati regolari contratti collettivi, che stabilivano i diritti e i doveri dei contraenti. Ai marinai veniva corrisposta la paga giornaliera e un premio in danaro per ogni tonno o pesce spada catturati. Veniva inoltre assegnata alla ciurma, sempre a titolo di premio, una certa quantità di «pesci minuti» e di «pesci di squama» il cui valore, alla fine della campagna di pesca, veniva.computato in moneta da dividere tra i marinai.
I tonnarotti che, per ragioni non dipendenti da forza maggiore, si assentavano, dovevano provvedere alla propria sostituzione in tutti i diritti e doveri con persona accetta all’amministrazione. Ingaggiata la ciurma, il «rais» sceglieva, tra le persone che la componevano, i marinai più esperti a cui assegnare i compiti più delicati e proponeva per il tonnarotto dotato di maggiori capacità la nomina a vice «rais». Ma la figura più emblematica delle tonnare era il capo, chiamato con l’appellativo arabo «rais». Egli godeva di un’autorità assoluta su i tonna­rotti, sul personale delle «logge» e persino sui proprietari delle tonnare nei riguardi delle scelte di sua competenza. Era il diretto responsabile della tonnara e di tutte le operazioni connesse al suo funzionamento. Anticamente, quando le cose non erano andate secondo le previsioni, il  «rais» rispondeva persino penalmente nei riguardi del feudatario, proprietario della tonnara.
Era il «rais» che, sulla base delle proprie esperienze e dopo avere attentamente osservata la zona di mare, decideva il punto in cui doveva essere situata la tonnara.
Per lui il mare, i fondali, le variazioni delle correnti marine, i pesci con le loro abitudini, il clima, ecc. non avevano segreti. Egli conosceva alla perfezione il difficile mestiere del tonnarotto: un’arte che nessuna scuola era in grado di insegnare, una tecnica intessuta di sottili accorgimenti, di astuzie e di segreti, che generazioni di esperti marinai si erano gelosamente tramandati da padre in figlio e che egli aveva ulteriormente perfezionato con la personale, sofferta e pericolosa esperienza di una intera esistenza trascorsa sul mare. La sua era una figura carismatica, che incuteva rispetto, stima, ubbidienza e completa fiducia negli uomini della ciurma. Era il «rais» che, imbracciata la «draffinera», andava a regolare i conti con i feroci squali e nelle più difficili circostanze si esponeva a tutti i pericoli in prima persona.
Ecco uno dei tantissimi episodi di cui i «rais», coraggiosi e autentici lupi di mare, si resero protagonisti: (riportato dal Libro dei Verbali della Giunta Comunale di Pizzo dell’anno 1891, ver­bale n° 21 del 27 Giugno 1891): «La Giunta Comunale, legalmente costituita…
<<considerato l’atto di valore compiuto il 13 del corr. mese dal Rais Malerba Giuseppe fu Dom.co Antonio di questo Comune, allorché dalla barca principale della Tonnara del Senato­re Gagliardi…; visto il pericolo che correva il marinaio Lavalle Foca, il quale per un colpo di coda di un grosso tonno stava calando a fondo ed era già sott’acqua per circa sei metri… (il Malerba) solo, vestito come trovavasi… col mare alquanto agitato… si tuffava nelle acque (profonde circa sessanta metri) e sommergendosi arrivava ad afferrare, sostenere e portare a galla il naufrago che… stava quasi in fin di vita, restando anch’egli (il Malerba) parecchio malconcio. Visto che concorrono gli estremi voluti dal R. Decreto 30 Aprile 1891… Unanime, mentre fa plauso a tale atto di valore, addita il detto Malerba alle Superiori Autorità competenti e propone per lui la ricompensa della medaglia al valore civile…
L’Assessore Anziano: G. Assisi. Il Presidente: Scordamaglia . Il Segretario: R. Paladi­ni».
I lavori della tonnara iniziavano il primo giorno feriale del mese di Aprile. All’alba di quel primo giorno di lavoro, i tonnarotti erano già nella «loggia», pronti ad iniziare le attività che a ciascuno di loro erano già state assegnate. Ogni marinaio dava al «rais» il: «Bon giornu, arrasu», che non era solamente un semplice saluto, ma un fervido augurio che auspicava una campagna di pesca abbondante. Il «rais» nel ringraziare offriva un buon sigaro riservandosi più consistenti regalie.
La «loggia» si trasformava subito in un cantiere brulicante di multiformi attività: si cominciavano a portare sul piazzale le attrezzature immagazzinate, si allineavano sulla spiaggia i numerosi barconi sui quali i calafati operavano il ristoppaggio prima di ricoprire il fasciame con la pece, si stendevano le grandi reti bisognose di ri-magliature, si controllavano le corde, i galleggianti e tutto quanto necessitava di revisione. Pochi giorni dopo iniziava la posa delle prime strutture a mare, a partire da quelle di sostegno dell’intera «isola»; si sistemava la barca «capo rais» che segnalava la presenza della tonnara e poi si disponevano gli elementi del «pedale» con la relativa rete di sbarramento. Intanto sul piazzale della «loggia» fervevano i lavori di preparazione e di sistemazione sulle barche delle reti più importanti: il «palamidaro» che doveva cingere la «pescheria» e il «cannamu» che era la rete mobile della «camera della morte». Quando il tutto era stato sistemato sulle barche, il Capitolo della Collegiata di S. Giorgio processionalmente si recava sulla spiaggia per la solenne benedizione delle reti. Il «palamidaro» e il «cannamu» dovevano essere posizionati in fondo al mare nei momenti di completa assenza delle correnti marine per cui, dopo che la sistemazione a mare delle principali strutture era conclusa, il «rais» disponeva nella  «pescheria» alcune lenze, che gli indicavano la mancanza delle correnti. Tutta la ciurma dei marinai era in attesa del momento favorevole e sostava sulla spiaggia, prospiciente la «loggia», dove le barche cariche di reti erano pronte per il varo. Quando dalla «pescheria» veniva segnalato il momento propizio, il varo del «palamidaro» veniva annunciato e salutato dal suono a festa delle campane di tutte le Chiese. Dopo pochi giorni la tonnara era pronta ad iniziare la pesca. Cominciava allora l’attesa della prima «levata», che avrebbe collaudato il funzionamento di tutto l’impianto, avrebbe sollevato il «rais» dalla responsabilità della scelta del punto in cui aveva sistemato le strutture e da quella della perfetta messa in opera delle reti. L’ansia era condivisa dai tonnarotti e da quanti traevano utili diretti dalle attività connesse alla pesca del tonno, nonché dalla fascia meno abbiente della popolazione, che con le attività delle tonnare trovava un po’ di abbondanza di cibo. Gli occhi di tutti erano perciò rivolti al pennone della barca «sceri», in attesa di scorgere la bandiera tricolore, che segnalava la «levata» a tonni e, quando ciò si verificava, il giubilo era unanimemente avvertito. Il suono a stormo delle campane annunciava l’evento liberatorio e la frase dialettale: «Arrasu è frangu», correva sulla bocca di tutti, volendo significare che il «rais» era affrancato da tutte le sue responsabilità.
I sacrestani delle Chiese per il suono delle campane e il Capitolo della Collegiata per la benedizione delle reti venivano compensati con qualche tonnetto, mentre il tonno più grosso della prima «levata» spettava al Convento dei Frati Minimi di Pizzo, essendo S. Francesco di Paola il Santo Patrono dei marinai. La devozione dei pizzitani verso S. Francesco di Paola fu sempre sentita e manifestata in tutte le circostanze, particolarmente dalla classe dei marinai-pescatori e tonnarotti. Nelle «logge» e sui barconi delle tonnare non mancavano mai le grandi immagini del Santo e tutte le più importanti operazioni, in special modo quelle più rischiose, venivano sempre compiute in nome di S. Francesco.
Quando una tonnara non riusciva a pescare per molto tempo, o perché le condizioni sfavorevoli del clima costringevano i tonni a passare a largo,  0 perché il loro ingresso nella tonnara era impedito dalla presenza di squali, che non si riusciva a catturare, si ricorreva sempre all’intervento di S. Francesco, facendo appositamente portare da Paola alcune volte un sandalo, altre volte il manto, il bastone o altre reliquie del Santo, che pro-
cessionalmente venivano portate per le vie della cittadina e a mare, dove un lungo corteo di barche raggiungeva la «pescheria».
La campagna di pesca veniva normalmente conclusa a fine giugno e immediatamente iniziavano i lavori di recupero delle strutture dal fondo marino.
Tali operazioni venivano dette «taglio della ton­nara» perché la rete di sbarramento del «peda­le», che anticamente era costruita con le foglie di ampelodesmo, veniva tagliata e abbandonata a mare assieme alle pietre usate per zavorrarla. Erano invece recuperate tutte le altri reti, i gal­leggianti, le ancore e tutti i cavi. I marinai erano obbligati a portare a terra tutto il materiale recuperato e disporlo nei locali della «loggia» con le modalità stabilite nel contratto di ingaggio.
Le operazioni di recupero e di immagazzinamento impegnavano i tonnarotti per tutto il mese di luglio e anche oltre tale termine. Anticamente, alcune volte, veniva lasciata a mare tutta la «pescheria», formata dal «palamida-ro» e dal «cannamu», oltre il periodo migratorio dei tonni fino a tutto il mese di settembre per la pesca dei «pesci minuti» e dei pesci spada. Finita la campagna di pesca, immagazzinati i materiali e chiuse le «logge», i tonnarotti ritornavano alle loro abituali attività.