Il sistema scolastico ha bisogno di riforme pensate con cura, ben scritte e che siano praticamente attuabili a livello territoriale tenendo conto di entrambi i lati della medaglia: gli studenti e gli insegnanti.
L’Italia presenta enormi disparità di distribuzione delle risorse, degli alunni, e degli insegnanti fra Nord e Sud e ha una categoria degli insegnanti i cui stipendi sono bloccati dal 2010.
Al livello universitario il problema del sotto finanziamento è il più evidente e presenta conseguenze catastrofiche. Il nostro Paese investe solo lo 0.9% del PIL per l’università (quasi la metà rispetto agli altri paesi membri dell’OCSE), un dato in costante declino (sceso di più del 10% dal 2009), mentre gli investimenti sulla ricerca corrispondono ad un misero 1.2% del PIL, molto al di sotto dell’obbiettivo imposto dall’Europa del 3%.
Meno investimenti significa una ridotta qualità della ricerca, il che ci rende meno competitivi nell’attirare ulteriori fondi privati o pubblici (ad esempio i fondi europei Horizon 2020) e nel competere con le altre università europee. La mobilità di studenti e docenti fra le università (o fra università e industria) è pressoché inesistente, i ruoli di professore sono tutti bloccati a tempo indeterminato, non c’è collaborazione col settore industriale, e siamo l’unico paese in Europa in cui ogni anno circa il 13% dei ricercatori qualificati lasciano l’Italia per andare a lavorare all’estero (in tutti gli altri paesi sono più i ricercatori in ingresso rispetto a quelli in uscita).
Il ruolo della scuola e dell’università è anche altamente politico. Il contributo accademico è fondamentale per comprendere meglio fenomeni complessi e per smascherare le bugie sulle quali si basano pericolose demagogie e populismi.
– Come portare scuola, università e ricerca veramente e fattivamente al centro e farli diventare motore dello sviluppo economico e sociale?