Limitatezza delle risorse, invecchiamento demografico, bassa natalità, trasformazioni del lavoro quali l’aumentata flessibilità e il prevedibile impatto dell’“Industria 4.0” richiedono un ripensamento profondo delle relazioni tra lavoro e welfare disegnate nell’epoca industriale-fordista.
Va costruito un welfare per il 21° Secolo, che sappia combinare efficacemente adeguatezza delle tutele e sostenibilità economico-finanziaria con l’imprescindibile, e sempre più decisivo, criterio dell’equità.
Come farlo?
– Le prestazioni sociali devono rimanere saldamente ancorate al lavoro oppure bisogna iniziare a pensare al welfare come diritto di cittadinanza (pensione di base, reddito di cittadinanza, ecc..) – come peraltro già avviene nel settore sanitario?
– Nel secondo caso, è opportuno immaginare forme di “universalismo progressivo” che prevedono la parziale esclusione dalle tutele o la maggiore contribuzione da parte delle fasce più abbienti?
– Deve avere un qualche ruolo il welfare non pubblico (fondi sanitari integrativi, previdenza complementare, welfare aziendale)? Sono queste forme più o meno efficaci ed efficienti rispetto al welfare pubblico?
– Come promuovere invece le opportunità in termini di maggiori risorse disponibili ed equità, che deriverebbero sia dall’aumento dell’occupazione femminile (cosiddetta “womenomics”) sia da una buona integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro regolare oltre che nel tessuto sociale?
– Ed infine, è il continuo aumento di flessibilità la strada maestra per incrementare l’occupazione oppure è tempo di cambiare il versante d’intervento tramite interventi di promozione della “domanda” da parte delle imprese (investimenti, innovazione, ecc..)?