Della repressione della rivolta calabrese ci limiteremo ad accennare gli episodi principali, che ebbero per teatro Camerotta, Acri, Sora, Amantea, Maratea, Reggio e Scilla.

CAMEROTA
CAMEROTTA, nel Cilento, forte per la natura del luogo, era difesa dal duca di POLLERIA, dalla banda del GUARIGLIA e da un distaccamento del presidio di Gaeta che, secondo i patti della capitolazione, doveva astenersi per un anno dal combattere contro i Francesi. Questi, comandati dal generale LAMARQUE, si presentarono davanti Camerotta il 1° del settembre del 1806 e, approfittando di un uragano, riuscirono ad espugnarla, passando a fil di spada tutti i difensori che non erano riusciti a fuggire.

SORA

SORA era il quartier generale di FRA DIAVOLO. Nel settembre fu affidato al generali ESPAGNE, al colonnello CAVAIGNAC e al capo squadrone FORESTIER, il compito di espugnare il covo del temuto bandito. Sebbene circondato, Fra Diavolo riuscì a fuggire; la città invece fu espugnata e messa a sacco (26 settembre 1806).

ACRI

aveva una guarnigione di pochi Corsi e di qualche centinaio di patrioti comandati dal tenente GIUSEPPE FERRARA. Il 14 ottobre del 1806 ANTONIO SANTORO, detto “RE COREMME”, occupò la città costringendo i difensori a chiudersi nel castello; aveva una banda di circa tremila uomini, eppure, al sopraggiungere di una cinquantina di Còrsi provenienti da Bisignamo, credendola una colonna di maggior numero, si ritirò. Ritornato ad Acri, il Santoro si disponeva a bloccare la rocca quando questa volta fu assalito da una vera colonna francese comandata dal Verdier e costretto a fuggire fino a Longobuco, mentre Acri dopo averla saccheggiata fu data alle fiamme. Il Santoro si rifugiò in Sicilia, ma al principio del 1807 ritornò in Calabria e tentò di impadronirsi di Rossano. Respinto dagli abitanti e dal presidio, ritornò a Messina. E ancora verso la fine di maggio del 1807 lo troveremo con le sue bande ancora a Cotrone da dove il principe di Philippsthal, sdegnato dalle ruberie, confiscatogli il bottino, lo rimanderà in Sicilia.

AMANTEA

rimase famosa per la resistenza accanita che oppose ai Francesi. Occupata da FRA DIAVOLO – come si è detto – qualche giorno prima della battaglia di Maida, era rimasta sotto il governo del nobile RODOLFO MIRABELLI. Per due mesi e mezzo non aveva avuto noie da parte dei Francesi, ma il 27 settembre del 1806 giunse da Cosenza il generale Verdier con due reggimenti di fanteria, due cannoni e alcune squadre della guardia civica. Tutte queste truppe assalirono la città, ma furono facilmente respinte e si ritirarono a Cosenza.
Il Verdier ritornò con un numero maggiore di soldati il 3 dicembre e due giorni dopo diede l’assalto ad Amantea, ma fu respinto con sensibili perdite; ritentò la notte dell’8 ma fu nuovamente sconfitto e, scoraggiato dalle perdite che gli avevano inflitto gli Amanteoti e da quelle che aveva subite per opera delle bande di VINCENZO PRESTA, che da Belmonte lo molestava, fece ritorno ancora a Cosenza, e da qui, informati i suoi superiori della difficoltà dell’impresa, chiese qualche altro pezzo d’artiglieria, altre munizioni per rinnovare con maggiore probabilità di successo l’assalto della piccola città difesa così tenacemente dagli abitanti e dalle bande del Presta, di GIUSEPPE MELE e di IGNAZIO MORRONE. Il 1° gennaio del 1807 il Verdier, accompagnato dal Reynier, si presentò per la terza volta davanti ad Amantea questa volta con tremiladuecentocinquanta soldati, sei pezzi d’artiglieria e una schiera di guardie civiche comandate dal maggiore FALCONE. Il 15 gennaio il Verdier guidò personalmente le truppe all’assalto, ma questo non ebbe esito migliore dei precedenti. Allora il generale fu richiamato a Napoli e sostituito dal generale PEYRI’.
Il nuovo comandante il 31 gennaio fece al MIRABELLI proposte per una onorevole capitolazione. Essendo state rifiutate, il Peyrì il 4 febbraio fece aprire il fuoco delle sue artiglierie ed il 6 ordinò l’assalto. Anche questa volta i Francesi furono respinti; ma la città, priva di comunicazioni con il mare per la vigilanza degli assedianti, trovandosi a corto di munizioni non era ormai più in grado di resistere. Le bande la notte del 6 febbraio abbandonarono la terra e la mattina del 7 il Mirabelli firmò una capitolazione. I Francesi concedevano l’amnistia agli abitanti e si permetteva al Mirabelli e al colonnello Stocchi di ritirarsi in Sicilia.

MARATEA,

nella Basilicata, difesa da Alessandro Mandarini, che aveva sotto di sé i colonnelli ROCCO STODUTI e RAFFAELE FALSETTI, i maggiori ANTONIO GUARIGLIA e GIUSEPPE NECCO, il capitano DE CUSATIS, il tenente DE LIETO e un migliaio d’uomini, a differenza di Amantea non riuscì a resistere che pochi giorni ai quattromila uomini del generale Lamarque giunto ad assediarla.
Il Mandarini, abbandonato dalla flotta borbonica che avrebbe dovuto rifornire la città di viveri e di munizioni, il 10 dicembre del 1806 fu costretto a capitolare ottenendo che le persone e i beni dei cittadini non fossero molestati, che gli ufficiali, data la parola d’onore di non brandire più le armi contro i Francesi, potessero ritirarsi in Sicilia e alle truppe, con eguale promessa, rimandate a casa.
Tentò il governo francese di guadagnare alla sua causa il Mandarini, di cui conosceva l’ingegno e il valore, ma questi non volle tradire i Borboni. Giurò, secondo i patti della capitolazione, di non combattere contro il re Giuseppe ma volle anche giurare che non lo avrebbe mai servito, quindi si ritirò in Sicilia, da dove, nel 1815, ritornò in patria in qualità di Intendente per la Calabria Citeriore.

CROTONE

Come abbiamo gia accennato sopra, il Reynier, ritirandosi da Catanzaro a Cassano, aveva lasciato a Cotrone il capitano Soulpy con duecentocinquanta Polacchi. Questi il 30 luglio si arresero agli Inglesi, ma il Reynier, ignorando questa capitolazione, il 15 agosto lasciò Cosenza alle testa di una colonna per recare soccorso al piccolo presidio di Cotrone. Era appena partito quando incontrò le bande del GERMALIZ. Ingaggiatosi il combattimento, il Gernaliz cadde ucciso e le bande sbandandosi ripiegarono su quelle di FRANCESCO CARBONE e PANE DI GRANO, le quali, invece di sostenerle, si diedero alla fuga. Il Reynier continuò a marciare verso Cotrone, ma, saputa la resa del Soulpy, preferì tornare indietro.
L’8 gennaio del 1807 Cotrone fu occupata dal colonnello Billard; ma il 27 maggio una flottiglia borbonica vi sbarcò le bande di ANTONIO SANTORO e di NICOLA GARGIULO, che occuparono la città ma poi vi furono poco dopo assediate dai Francesi. Bella la difesa dei borbonici; provvisti di munizioni e soccorsi anche da truppe regolari, non solo ostacolarono con le artiglierie i nemici nei lavori d’assedio, ma fecero frequenti ed audaci sortite.
Per vincere la resistenza della fortezza i Francesi vi ammassarono intorno numerose truppe e vi trasportarono grossi pezzi d’artiglieria. Il 9 luglio le batterie degli assedianti iniziarono e aprirono un fuoco violento sulle fortificazioni di Cotrone, che furono sottoposte anche nei giorni successivi ad un bombardamento incessante oltre che efficace. La notte dal 12 al 13, prevedendo prossima la caduta della città, il presidio e non pochi abitanti, noti pei loro sentimenti antifrancesi, s’imbarcarono per la Sicilia, e la mattina seguente le truppe del generale Reynier occuparono Cotrone.

REGGIO E SCILLA

Ultime ad esser ridotte all’ubbidienza furono Reggio e Scilla, più difficile a tenerle che ad essere occupate per la vicinanza con la Sicilia. Esse rappresentavano per il governo borbonico una base eccellente per propagare ed organizzare le varie insurrezione sul continente. Il 9 maggio del 1807, infatti, vi sbarcò il principe di Philippsthal con il proposito di ribellare nuovamente la Calabria oramai quasi interamente domata. Conduceva con sé circa cinquemila uomini, fra cui c’erano parecchi capimassa, PANEDIGRANO, NECCO, FRANCATRIPPA ed altri, destinati ad organizzare la rivolta.

LA BATTAGLIA DI MILETO
Da Reggio il Philippsthal marciò su Mileto, che cadde in suo potere poi intimò ai Francesi, che in numero di cinquemila si erano riuniti a Monteleone, di arrendersi. I Francesi invece cacciarono loro i borbonici da Mileto (29 maggio 1807) e impegnati con loro un furioso combattimento sulla via di Rosarno, li sconfissero totalmente, uccidendone quattrocento, ferendone seicento, prendendone prigionieri circa tremila e sbandando tutto il resto. Il principe ASSIA DI PHILIPPSTHAL ritornò a Reggio con soli trenta uomini dei cinquemila che aveva. Dopo questa vittoria i Francesi avrebbero potuto facilmente impadronirsi di Reggio e Scilla; ma il Reynier non mosse contro di loro che otto mesi dopo: la prima, difesa da settecento soldati comandati dal Sandier, capitolò il 2 febbraio del 1808; la seconda fu occupata il 9, ma il castello, difeso da duecento Inglesi, resistette fino al 17.
Grandi fatiche costò ai Francesi la repressione dell’insurrezione; gravissimi danni ne ebbero le province. Nonostante le frequenti amnistie e l’ordine di re Giuseppe di non incendiare i paesi, i Francesi si comportarono con una ferocia tremenda, che non trova giustificazione nel contegno degli insorti. Incendi di casali, di paesi, di città, saccheggi, rapine, violenze di ogni specie, carcerazioni, fucilazione in massa di amnistiati, impiccagioni desolarono per due anni le Calabrie, la Basilicata e parte della Puglia; molto da fare ebbe il tribunale militare, che, dopo processi sommari, pronunziò numero sentenze.
Fra i condannati due ve ne furono che per la loro rinomanza e meritano un cenno in questa Storia, che più volte si è occupata di loro: RODIO e FRA DIAVOLO.